QUANDO LA PAURA SI TRASFORMA IN FOBIA?

Il termine fobia, nel linguaggio comune, spesso viene utilizzato per indicare un’intensa paura verso uno specifico oggetto o situazione, tale per cui questi viene temuto ed evitato quanto più possibile; spesso i due termini vengono ingenuamente usati come sinonimo.

Tuttavia la paura, per quanto grande possa essere, è un’emozione primaria, ossia universalmente presente fin dalle origini della specie umana e con un preciso significato evolutivo: attivarsi a livello psico-fisiologico per difendersi o scappare dai predatori o ancora di cercare protezione da altri conspecifici.

La paura inoltre, nella sua normale manifestazione, presenta un legame diretto con la situazione che la elicita e, nel momento in cui il pericolo cessa o si ottiene protezione, va scemando, fino ad esaurirsi e riportare la persona ad uno stato di quiete.

La fobia, invece, si presenta come non del tutto giustificata dalla situazione in atto, non è infatti necessario che sia presente lo stimolo fobico perché si manifesti l’attivazione psico-fisica; spesso è sproporzionata rispetto alla reale portata pericolosa dello stimolo e assume caratteristiche di irrazionalità e persistenza, anche a fronte del dato di realtà.

A ciò si aggiunge spesso un comportamento di evitamento, che porta la persona a sottrarsi o evitare anticipatamente la situazione, o altrimenti a viverla con forte disagio. Inoltre, per parlare di fobia, tale vissuto deve interferire in modo significativo con il funzionamento della persona nei vari ambiti di vita (famiglia, lavoro, relazioni).

Nello specifico distinguiamo le fobie in:

Fobie specifiche: nelle quali è presente uno stimolo ansiogeno molto circoscritto, specifico (approfondisci qui).
Agorafobia: un tipo di fobia relativa a situazioni in cui potrebbe essere difficile fuggire o ricevere soccorso, ad esempio: l’utilizzo dei trasporti pubblici, il trovarsi in spazi aperti, il trovarsi in spazi chiusi, stare in fila o in mezzo a una folla, essere fuori casa da soli.
Il disturbo d’ansia sociale (o Fobia Sociale) in cui il focus della paura si riferisce alle situazioni sociali.

Di quest’ultima in particolare, per la sua poca conoscenza ma grande impatto sulla vita della persona, si andrà meglio a parlare qui di seguito.

 

La fobia sociale: quando la paura blocca le relazioni sociali

Nello specifico della Fobia Sociale, l’intensa paura insorge in situazioni sociali in cui si è esposti (o esponibili) al possibile esame degli altri, come:

 

• Situazioni di interazione sociale: come ad esempio incontrare persone nuove, intrattenere delle conversazioni…
• Situazioni in cui ci si sentirebbe osservati da altri (es. mangiare, bere, ecc)
• Situazioni in cui si deve eseguire una prestazione davanti agli altri (ad es. fare un discorso, un’esibizione…)

 

Quel che accomuna queste situazioni e che porta l’ansia (paura) a livelli eccessivi o conduce ad evitarle dal principio, è in particolare un senso di vergogna rispetto alla paura esperita e in cui sostanzialmente la valutazione negativa altrui potrebbe causare umiliazione e disagio intensi.

 

In altre parole le possibili reazioni di fronte a quella tal situazione ansiogena sono oggetto di profonda vergogna per la persona la quale si esprime su due livelli:

a) una vergogna o imbarazzo per la prestazione stessa, ad esempio la paura di fare una brutta figura nell’eseguire quella tal azione o performance.
b) una vergogna della propria vergogna, paura che gli altri vedano la propria reazione di vergogna/imbarazzo.

Tutta questa dinamica, nei termini pratici, ha delle ricadute sull’ingaggio e la partecipazione a situazioni sociali, sull’opportunità di esporsi socialmente e, dunque, di instaurare legami amicali o sentimentali; al contempo vengono meno anche le opportunità di confronto e sana competitività e prevalgono i momenti di isolamento o marginalità alle attività gruppali.

Se nell’adulto viene più facilmente “camuffata” dietro ad un atteggiamento più solitario o in altri casi, sopportata con estrema fatica e disagio, nel bambino e nel ragazzo può invece assumere connotazioni più marcate.

A partire da scoppi di pianto o collera, reazioni di “congelamento” (freezing) di fronte alle situazioni ansiogene o ancora comportamenti di evitamento attivo di esperienze anche essenziali per lo sviluppo socio- relazionale, fino a comportamenti di ritiro più manifesti, sfociando in certi casi anche in forme più eclatanti e pericolose, come il ritiro sociale e scolastico (ne parliamo qui).

Non è difficile intuire quanto tutto ciò, soprattutto se si parla di bambini e adolescenti, possa impattare sulla dimensione della socialità fortemente sollecitata specie nel contesto scuola e amicale.

 

Uno dei possibili rischi è costituito da una risposta invalidante da parte dei pari o degli adulti di riferimento che, non cogliendo efficacemente lo stato di disagio della persona, si spiega i suoi comportamenti in termini categorici, come volontà di isolamento, timidezza, introversione, e così via.

In tal modo non vi è adeguato riconoscimento dello stato emotivo della persona e anzi spesso ne risulta soltanto un’amplificazione del senso di vergogna esperito, con conseguente rinforzo della “pericolosità” di quella situazione.

Ecco perché è fondamentale individuare tempestivamente tali vissuti, specialmente se interessano più ambiti di vita e divengono sempre più pervasivi; tutto ciò senza normalizzare, minimizzare o ancor peggio connotarli negativamente, ma attribuendogli invece il giusto valore e riconoscendone gli aspetti disfunzionali e limitanti.

Rivolgendoti ad uno psicoterapeuta potrai essere aiutato a comprendere l’origine di tali vissuti e imparare strategie più efficaci per gestirli. Questo processo, al contempo, potrà aiutarti a scoprire quali siano le tue risorse e come utilizzarle al meglio.