Da anni mi occupo di adolescenti, sia nell’esperienza come clinico di comunità educative e terapeutiche, sia all’interno dei servizi che svolgo nel mio studio.
In questo articolo vorrei parlare dell’uso che sempre più sta prendendo piede del uso della sostanza come fuga da pensieri e richieste che l’adolescente teme di non poter controllare e soddisfare.
Un tempo era in rilievo l’uso di queste sostanze da un punto di vista ricreativo e gruppale, l’immagine di sè all’interno di un gruppo trasgressivo che condivideva l’uso di sostanze proibite creava una condivisione che permetteva di sentirsi parte di un gruppo, nella creazione di un’identità gruppale nascente e condivisibile.
Oggi, invece, oltre a questo aspetto che permane, sono sempre più presenti nei discorsi dei ragazzi frasi quali: “così non penso”, “sedo la mia rabbia con una canna”, “almeno per un pò non devo pensare”…ecc ecc, come se per questi ragazzi la richiesta di una “mente al lavoro” in un processo di creazione identitaria, come avviene in adolescenza, fosse una richiesta eccessiva da cui si deve evadere in qualche modo.
La società è notevolmente cambiata, le richieste sono sempre più pressanti (basti pensare all'”agenda” di alcuni bambini che nel corso della settimana svolgono corsi di ginnastica, di musica, di danza, più sport contemporaneamente…ecc).
La possibilità di poter stare nel silenzio (evolutivo), in un vuoto pensante ad oggi viene difficilmente accettato dagli stessi genitori che sentono questi momenti come persi, la noia è qualcosa da cui scappare, un termine inaccettabile e che i figli non devono conoscere.
Ci si può dunque aspettare qualcosa di diverso da ragazzi di 14-16 anni che sono alle prese con processi di sviluppo psico-fisico così importanti e gravosi? Direi di no.
Probabilmente una cura di questi aspetti potrebbe aiutare maggiormente i genitori a comprendere questi fenomeni e allo stesso tempo gli adolescenti a poter tollerare maggiormente la frustrazione derivante da pensieri nuovi, sentiti come gravosi, ma necessari per una ristrutturazione identitaria quale quella che l’adolescente è chiamato ad attuare. Lasciare la propria immagine infantile di bambino amato e accettato dal nucleo familiare a favore di un’immagine di sè diversa, da costruire e creare all’interno di un gruppo di pari è un percorso difficile e che spesso può far paura e a cui si può, in alcuni casi, cercare di sottrarsi ma il buon esito di questo processo è necessario per la buona riuscita di un sè più maturo, consapevole e strutturato.
A cura del dott. Marco Santini
Psicologo-Psicoterapeuta